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Il fercolo di S. Agata


Il fercolo o “vara” che trasporta le reliquie di sant’Agata patrona della città e dell’Arcidiocesi di Catania, è una pregevole opera di alta oreficeria catanese. Elegante nella sua semplicità, esso si presenta a forma di tempietto rettangolare sostenuto da sei piccole colonne corinzie, che reggono una ricca trabeazione sormontata da una copertura completamente ornata di mascheroni e fogliame disposti a scaglie. Sulla sommità di questa armoniosa costruzione, la croce troneggia sul mondo (un globo), circondata dai simboli della verginità e del martirio: una corona, un giglio e una palma. Interamente in lamina d’argento, il fercolo presenta una decorazione ad arabesco, girali vegetali e fogliame, mentre lo zoccolo della base è rivestito di quadretti lavorati a sbalzo che raccontano episodi del martirio della Santa, il trasporto delle sue reliquie da Costantinopoli a Catania e i miracoli da lei compiuti.

Lungo tutta la cornice della trabeazione dodici statuette a tutto tondo rappresentano i Santi Apostoli. Completano la vara festoni argentei di elementi vegetali sospesi tra le colonne, e vasi contenitori (ricolmi di fiori nei giorni della festa) che un tempo erano vere lampade votive. Dai pochi atti d’archivio esistenti si può desumere che la macchina processionale esisteva già nel 1519 (forse iniziata nel 1514 in sostituzione della precedente in legno) e che ad ornarla era stato chiamato nel 1522 l’argentiere Vincenzo Archifel, ormai noto a Catania, avendo già eseguito per la città altre opere.

Dall’analisi diretta del fercolo è stato possibile desumere altre notizie: i diversi punzoni riscontrati e le tracce di cesello diverso nella lamina d’argento sono una testimonianza del fatto che numerosi argentieri contribuirono a creare l’opera. La macchina processionale della Santa catanese spicca sicuramente fra le opere più significative dell’arte orafa catanese del XVI e XVII secolo. 

La vara di sant’Agata è stata segnata da molteplici vicende: uscita indenne dal terremoto del 1693 fu invece pesantemente derubata di molte parti nel 1890 ed infine gravemente danneggiata dai bombardamenti del 7/4/1943. L’attuale vara, pertanto, è il risultato del completo rifacimento compiuto nell’immediato secondo dopoguerra, soprattutto per l’intervento di alcuni artigiani catanesi particolarmente esperti nella lavorazione del legno, dell’argento e dei metalli.

Complessivamente i maestri d’opera che lavorarono alla ricostruzione del fercolo riuscirono con grande capacità non solo ad inglobare nella nuova vara i molti pezzi scampati alla distruzione, ma anche a rifarne tutte le parti devastate dalle bombe, in particolare: la trabeazione; il fregio interno delle volte, il fogliame e i mascheroni; le statue del coronamento; i due stemmi dei dadi di zoccolatura posteriori. 

Inoltre furono reimpiegate dall’antica opera: un paio di formelle; l’insieme costituito dalle laminette sbalzate con motivi a candelabra e dalle cariatidi che separa armoniosamente i quadretti rappresentanti vari episodi degli Atti del martirio, che si possono ammirare alla base del fercolo; infine il decoro interno dei cupolini.

Nella sala del Fercolo di S. Agata è ospitata, in maniera permanente,  la mostra "Agathae" che il fotoreporter catanese Fabrizio Villa  ha donato al Museo nel 2011.  Le fotografie  esposte raccontano i giorni della  festa di  S. Agata dal 3 al 5 febbraio, quando la città, affollata di pellegrini e turisti,  celebra la sua Santa Patrona. La festa, che viene considerata la terza festa della cristianità per partecipazione popolare dopo la Settimana santa di Siviglia e il Corpus Domini di Cuzco in Perù.

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